La diagnosi non fa la persona. Pt.1
04/02/2025
Gianna. Quando le persone non sono la diagnosi
*Introduzione
Nasce una bambina a Palermo (non è che potesse nascere vecchia), sono gli anni ’60. Nasce da un amore adolescente e affrettato. Immaturo. Il padre va via e lascia la bambina alla madre. La madre la lascia ai genitori di lei. I genitori di lei la lasciano a due brave persone che non possono avere figli. Le due brave persone sono più genitori di tutti gli altri detti sopra, poco ma sicuro. I “genitori di cuore” la crescono, la vestono, la educano, la amano. Da qui per lei famiglia è amore, non è sangue e nemmeno cognome. Passano gli anni e Gianna cresce, si sposa e mette su famiglia.
*Quasi un giorno come tanti
Se ora guardassimo dentro la finestra di casa sua la vedremmo cucinare il ragù per i ravioli della domenica, con un bimbetto in braccio che avrà due o tre anni. Sono così in armonia, si vede dall’espressione tranquilla del bimbo e da quella inconsapevolmente serena di Gianna. Din don, suona il citofono alla porta, la giovane mamma apre. Non ha mai visto l’uomo, ma i suoi occhi sì. Sono gli stessi che la guardano ogni mattina allo specchio.
<Gianna, sono tuo padre>
Quante volte da bambina aveva sognato quell’incontro. L’aveva sognato ovunque: si svolgeva al parco, a casa dei nonni, in una strada qualunque, la mattina, il pomeriggio, la notte, col sole e col temporale.
<Ciao papà>
Dietro il primo uomo ne è comparso un altro che chiede permesso per entrare. È già molto più famigliare, quell’uomo l’ha cresciuta da che aveva sei anni. La porta si chiude.
<Chi era tesoro?>
*Notte
Gianna non ha sonno, ci mette molto ad addormentarsi. Fa sogni confusi: è di nuovo bambina c’è l’uomo di cui porta il cognome che la cresce. C’è anche l’uomo che l’ha cresciuta che dice di non volerla più e il suo bambino che la prega di non lasciarlo per sempre dai nonni.
Si sveglia, è ancora notte. Ha il marito a fianco e in mezzo a loro il figlio. Dormono.
*La vita dopo l’incontro
All’inizio i giorni sembrano passare sereni e lei tranquilla. Le notti no, non sono né serene né tranquille. Lei non dorme e si gira. Poi si rigira e si ri-rigira. Ne parlano un’altra volta, ancora. L’uomo che ha sposato le dice di tenere la calma, le dice che alla fine l’uomo alla porta è uno sconosciuto, che lui, come i genitori di cuore non la lasciano né la lasceranno mai.
Lei però non dorme, cucina e serve nel ristorante di famiglia, si occupa del suo bambino e della casa e in breve si ammala. È diventato difficile e impegnativo fare qualsiasi cosa. Ogni notte è peggio e ogni mattina più faticosa.
*Poi…
Il marito, preoccupato, va dal medico di famiglia per un consiglio che a sua volta il medico si confronta con il collega specialista.
<Volevo chiederti consiglio per una mia paziente. Ha la sindrome dell’abbandono, l’insonnia e stanchezza psicofisica…
*
Ma non sono quelle dieci a dire chi è una persona. Una persona, una donna, un uomo, un bambino. Non mettiamoci le etichette come fanno con le mucche, quei cartellini gialli con un codice attaccato all’orecchio.
Io per esempio sono Elena. Sono una OSS e mi piace molto prendermi cura delle persone che non riescono a farlo da sole. Dargli quello che gli manca per stare meglio. Io stessa sono una persona e come tale la mia vita è unica. Dalla mia infanzia, alle persone importanti che ho più a cuore, alle difficoltà, ai momenti di gioia, ai libri che amo leggere, alla musica che ascolto la notte e alle cose che non mi piacciono, tipo riordinare i cassetti a casa. Io stessa sono stata dalla parte del paziente in ospedale, a chi non capita una volta nella vita. Il medico di me dice <Elena, 25 anni, nata a-, il-, border…> E non <Elena, ama le persone, i libri, gli animali…> La diagnosi non fa la persona, garantisco.
-E-
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